COME NACQUE LA CARROZZELLA DI CASTELLAMMARE
La carrozzella nacque proprio a Castellammare da un’esigenza ben precisa. Per accedere alle ville ubicate tra Quisisana, via Sanità, via Fratte, Pozzano bisognava affrontare un percorso in ripida salita attraverso strade e stradine tortuose e anguste.
Le carrozze dell’800, con i loro dieci o venti quintali, erano troppo pesanti e talvolta bisognava cospargere le strade di sabbia e addirittura spingerle a forza di braccia.
A tal proposito è degna di menzione il piccolo contenzioso tra il ministro plenipotenziario russo, conte Gustav Stackelberg e l’amministrazione comunale di Castellammare che non volle concedere l’autorizzazione di spargere per la strada Coppola, sede del Consolato Russo nel palazzo Piscicelli, la sabbia necessaria ad agevolare il transito alla sua pesante carrozza. Tale autorizzazione «… non si era mai permessa, menochè quando qualche persona della Real Famiglia onorava questa Città e per que’soli momenti ».
Il motivo di tale diniego va ricercato nella possibilità che, in caso di pioggia, i chiusini di scarico delle acque piovane si sarebbero otturati e la presenza di sabbia e fango avrebbe potuto imbrattare gli abiti dei numerosi forestieri presenti in città.
Questo accadeva nel 1822.
Nel 1840, la baronessina donna Isabella Acton, moglie del cav. Enrico Dachanhausen, la cui villa si trovava proprio nella strada Fratte, commissionò al carpentiere ed ebanista Catello Scala una carrozza molto leggera che potesse inerpicarsi per la salita Quisisana senza l’ausilio della sabbia e delle spinte.
Don Catello, coadiuvato dal fratello Ignazio, si mise all’opera. «Ogni due giorni la baronessa Dachanhausen mandava a chiamare don Catello Scala e gli chiedeva a che punto stesse la carrozza da montagna, la carrozzella. –Cresce, signora baronessa, cresce- rispondeva don Catello».
Nasceva, così, la carrozzella in legno di frassino, il cui peso raggiungeva a stento i due quintali. Alla ditta Scala, sita al vico Minicocchia (oggi del Carmine), cominciarono ad arrivare commesse da ogni parte.
Dalla costola del vetturino privato nacque così il cocchiere pubblico. Nella seconda metà dell’Ottocento se ne potevano ammirare nutriti assembramenti soprattutto davanti alle Terme e alla Stazione Ferroviaria.
Questo spettacolo fu descritto da Renato Fucini, che giunse alla stazione di Castellammare il 10 maggio del 1877. Nel suo libro Napoli ad occhio nudo Fucini racconta l’impatto coi vetturini, ciucci et coetera animalia. Per la verità, pur non avendo prove, non esita a gettare discredito sulla loro onestà, nel momento in cui sospetta di essere stato derubato del portafogli. Salvo a riabilitarli in tutta fretta quando si accorge di avelo in mano.
Il cocchiere, questo personaggio ormai scomparso insieme con la carrozzella, è rimasto, comunque, impresso nella letteratura poetica anche per mano del giornalista Michele Salvati:
Signò, ‘na passeggiata a Quisisana’
Teng’’o cavallo ca se fa ‘a sagliuta
Currenno comme fosse ‘nterra chana;
e ‘a carrozzella mò l’aggio vestita.
Occellenza, ve porto a ghi e venì,
me rate quatto lire sulamente,
e ‘o faccio p’’o piacere ‘e ve servì.
Embè, vuie me guardate malamente?
Ma, pe’ sapè, quanto vulite rà?
‘Na lira e meza? a chest’è ‘na pruposta?
E nun ffuite mo, venite ccà ...
Na lira e meza a ‘a bona grazia vosta!
E manco nu sicario? ih! sciorta mia!
Ih! che miseria bella a ‘stu paese!
Stong’’a doie ore ‘nnanze ‘a ferrovia,
aspetto, aspetto, e arriva ‘stu francese.
© Angelo Acampora e Giuseppe D'Angelo
Riproduzione vietata senza il consenso degli autori.
Ma se copiate, almeno citate la fonte.
da: A. Acampora e G. D'Angelo, Luigi Denza. Il genio di funiculì funiculà, Castellammare di Stabia, 2001