San Giacomo e il Real Teatro Francesco I
Con tale toponimo, San Giacomo, oggi, noi indichiamo tutto quel territorio che si estende dal Caporivo alla contrada delle Botteghelle.
In epoca antica, invece, il luogo era appellato in tre diversi modi: a Santa Maria de Laureto, ad Fontanula e in pede cave.
Il primo era riferito alla omonima chiesa, esistente già prima del 1514, dedicata alla Madonna di Loreto ed oggi conosciuta come chiesa di San Francesco.
Il secondo all’esistenza della fontana dell’acqua detta di San Giacomo, già menzionata in documenti cinquecenteschi, ed il terzo per la presenza di una cava di tufo, quindi: ai piedi della cava.
Per l’acqua di San Giacomo bisogna precisare che è del tutto ignota la localizzazione della sorgente e che neanche un’accurata indagine bibliografica ha dato qualche risultato decisivo. Soltanto il Parisi afferma che « ... l’acqua di San Giacomo in sotterraneo sito sorge nei dintorni del luogo Madonna della Sanità è detto, e per un ampio condotto di antichissima epoca n’è portata la sua poca quantità nella piccola fontana a due bocche prossima alla Chiesa di San Giacomo nella strada di Quisisana (...)». Partendo da questa traccia, con l’ausilio di documenti dei secc. XVIII e XlX, e con indagini in loco, siamo giunti alla identificazione della sorgente, che per la verità era stata, in certo qual modo, anticipata dal Parisi.
Nell’anno 1817 furono effettuati i lavori di sistemazione della fontana, come oggi appare, e fu posta la seguente lapide.
AQUAM DEPERDITAM FONTEMQUE EXICCATUM
FRANCISCUS LONGOBARDUS
PATRICIUS STABIANUS
CIVITATIS PRAEFECTUS
INVENIENDAM EXCURRENDUMQUE CURAVIT
A.D. MDCCCXVII
Di fronte a tale sito esiste una zona chiamata Vignadonica, toponimo che ha sempre stimolato la nostra curiosità.
Secondo l’opinione del Natella, che ci sentiamo di condividere, deriverebbe da vinea domnica, cioè un grosso podere ove si raccoglieva e si lavorava il vino di un potentior della zona; e poiché a pochi passi vi è il Palazzo Reale di Quisisana, si potrebbe giungere alla conclusione che questa era una vigna regia ceduta, col tempo, a privati.
In questa zona sorge anche la chiesa di San Giacomo Apostolo, la cui origine è molto antica, anche se i lavori di rifazione dei secc. XVIII e XX ne possano dare un’impressione diversa. Esisteva, difatti, nel castello medievale una cappella edificata dagli Angioini, dedicata a San Giacomo, di cui abbiamo notizia sin dal 1338, il cui titolo fu trasferito nel 1362 all’attuale chiesa di San Giacomo.
Qualche parola in più, però, dobbiamo spenderla per l’antico teatro borbonico, conosciuto col nome di Teatro Francesco I, posto sempre nella stessa zona.
Nella prima metà dell’800 Castellammare vive una grande stagione di opere pubbliche e private destinate ad abbellire e a « ... dar maggior comodo a ’forestieri di tutte le nazioni che in tempo d’Està vengono a far uso delle acque Minerali non solo, ma benanche a villeggiare per più mesi prodigalizzando molte somme, oggetto, che può dirsi unico di vantaggio alla popolazione».
In tal epoca la città scopre la propria vocazione turistica, investendo in opere pubbliche, facendo così da elemento di propulsione e stimolo anche alle iniziative dei privati. E non a caso negli anni 1825-30 viene costruito, su progetto dell’architetto Catello Troiano, lo Stabilimento delle Terme al largo Cantiere; vengono ampliate, negli stessi anni, le strade di Pozzano, Fratte e Botteghelle dove stanno sorgendo le sontuose ville del barone Acton, del marchese Paternò, del marchese Pellicano, del marchese Salines, del principe Riccardo Caracciolo di Santobono, dell’ambasciatore russo principe di Lieven, del principe Ruffo di Sant’Antimo.
Non desti meraviglia, quindi, che il signor Catello Gambardella pensi in quegli anni di costruire un gran teatro, che possa ospitare anche la famiglia reale, che ha ripreso l’abitudine di trasferirsi d’estate nel Real Palazzo di Quisisana.
Compra, allora, il 22 settembre del 1828, dalle figlie del barone D. Giuseppe Cuomo, mezzo moggio di terra all’inizio della salita San Giacomo per poter edificare il teatro. Il progetto viene affidato allo stabiese D. Ottavio d’Avitaya, lo stesso architetto che nel 1842 realizzerà l’apertura della Nuova Strada Marina, detta in seguito Corso Vittorio Emmanuele. II 18.10.1828 il Re, previa delibera del Consiglio di Stato del 9 ottobre precedente, concede l’autorizzazione richiesta. L’anno successivo l’opera è completata e, su richiesta del Gambardella, il Re «permette» che si imponga il proprio nome (Francesco I) al teatro, concedendo anche cinque anni di privativa di teatro.
Esso si compone di « ... un edificio quadrilatero perfettamente isolato per tutti i lati, nell’aspetto principale verso oriente retto da tre archi ed intercolunnio supra e tutto fornito di tre porte, finestre, serramenti e quanto è necessario. La porta di mezzo mena nella Platea capace di 176 spettatori, e 36piazze d’Orchestra con 41 palchi divisi in tre ordini, oltre la Galleria al di sopra di essi ripartita in quattro scaloni, con proscenio e camerini, in tutto capace di circa 800 posti. Vi è al secondo ordine, il palco reale ed altri per la real famiglia, di cui il Re ha le chiavi e con entrate separate».
Questo teatro, tra alterne
vicende, funziona sino alla caduta della dinastia borbonica (1860), ma non
ha sempre vita facile. Già il Parisi, che scrive nel 1842, afferma che,
sebbene abbia una « ... nobile architettura nello esterno che
rappresenta... effìge in basso rilievo decorata
dei tre sommi drammatici dell’antica madre delle scienze e delle arti
Aristofane Sofocle Euripide..., ora è in dispiacevole decadenza con grave
nostro rammarico... onde noi più favorevole destino gli auguriamo».
Evidentemente l’assidua presenza di Sua Altezza Reale il Principe di Capua,
l’occasionale presenza del Re e l’annuo sussidio di cento ducati da parte
del Comune non furono sufficienti a garantire una buona copertura
finanziaria al teatro.
La presenza della Famiglia Reale è documentata, al dire del De Rosa, da una cronaca pubblicata nel 1835 “in una vecchia gazzetta” nella quale è riportata una corrispondenza da Castellammare: « ... in una serata di gala del maggio 1835 data al Real Teatro Francesco I fu annunziato ufficialmente lo stato interessante della regina Maria Cristina di Savoia [moglie di Ferdinando II] che poi il 16 gennaio 1836 dette alla luce l’erede al trono... Oltre la famiglia reale assistevano alla rappresentazione tutti i prìncipi di Casa Barbone, Ministri, Generali, ambasciatori, personalità eminenti e nei palchi, in platea, perfino in piccionaia [galleria] eransi dato convegno quanto di più illustre, nobile, intellettuale c’era in Castellammare, che in preda ad indicibile emozione applaudiva freneticamente, mentre la sala elegantemente aparata [parata] splendea di spannacete [steariche]». Fu rappresentata «La Vestale» di Spontini; esecutori ed orchestra del Teatro San Carlo di Napoli.
Ma ciò nonostante il teatro va rapidamente in rovina. Sin dal 1832 il Gambardella tenta di venderlo al Comune, ma inutilmente; e così anche nel 1840, 1845, 1849. Di seguito nel 1850, passato in proprietà del generale Paolo Avitabile, resosi famoso in India quale governatore di alcune province, viene offerto di nuovo in vendita al Comune, senza esito. Nel 1861, ridotto allo stato di rudere, 136 liberali stabiesi chiedono al Comune di acquistarlo perché «... 26.000 anime sono neglette per la mancanza del necessario teatro, e toccano il selvaggio, ...finora il teatro in questa città è stato morto per supremo volere delle autorità pretine e Governative, che qualunque intrapresa è stata fallita... sia per il bigottismo e sia per ignoranza».
Altri inutili tentativi nel 1867, 1869, 1880, quando la proprietà dell’immobile era di tal Salvatore de Falco. Nel 1894 venne acquistato dalla Società Artistica Operaia di Carità reciproca che lo trasformò in officina e scuola; nel 1922 venduto al signor Raffaele Perna che lo adibì a civili abitazioni, salvandone in parte l’antica facciata.
Queste, per sommi capi, le vicissitudini del Real Teatro Francesco I, che ebbe anche l’onore di una delibera comunale sui generis, la delibera del Consiglio Comunale del 27 luglio 1840, che presenta la seguente dichiarazione di voto della minoranza, favorevole all’acquisto. Eccola.
E perché voler distruggere nella nostra Patria
l’unico tempio di Apollo, e delle Muse ?
No che avverar non devesi
Preludio si funesto
come da ognun conoscesi
Saldo Edifizio è questo
Sostegno solidissimo
Eterno il renderà.
Del nostro re magnanimo
L’Egregio genitore
del Nome Suo Augustissimo
Concesseli l’Onore
Tal nome il Veglio instabile
sempre rispetterà.
Estratto da «I Luoghi della Memoria», II ed. 1994 e aggiornato al 2010
© Giuseppe D'Angelo 2000-2010
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